Il pericolo della tecnologia in montagna

L’altro giorno ho letto un articolo della rivista del Cai che mi è sembrato molto interessante, e che voglio usare per fare un paio di considerazioni sul mondo della montagna e dell’avventura, e sul modo in cui viviamo il rischio.

Non so se può essere interessante, ma in fin dei conti non penso faccia male a nessuno se scrivo i miei pensieri qui!

Il cellulare e il rischio

Lo scritto di cui parlavo è di Luca Calzolari, è pubblicato sulla rivista del Cai, Montagne360, e si intitola Il cellulare e l’illusione della vita a rischio zero. Lo potete leggere QUI.

Nell’articolo di Calzolari si prendono le mosse da un episodio accaduto l’anno scorso, e che ha visto protagonista un ragazzo molto sfortunato e la mancanza di un cellulare per avvertire i soccorsi.

Sulla vicenda è in corso un procedimento giudiziario, quindi non mi addentro nei particolari. Ma occorre far presente un aspetto. Al presidente dell’Associazione, in quanto rappresentante legale, vengono contestati due fatti: primo, non aver pianificato il trekking assicurandosi che tutto il percorso fosse coperto dalle reti nazionali di telefonia mobile; secondo, che il cellulare fosse solo in possesso della guida e non dei ragazzi.

In sostanza un bambino di 12 anni si è trovato coinvolto in un incidente dopo essersi arrampicato su una catasta di tronchi, ed è purtroppo morto schiacciato dai tronchi.

La conseguenza di una sentenza che desse la colpa alle guide, sarebbe che i ragazzi non potrebbero più essere portati in luoghi in cui non ci sia copertura della rete cellulare: nessuna guida si prenderebbe un rischio del genere. A me sembra una cosa un po’ assurda.

 

Avere sempre un’ancora di sicurezza è pericoloso

Il rischio è una componente dell’andare in montagna o dello stare in natura: in un ambiente aperto, in condizioni non controllate, c’è sempre una possibilità di rischio. Non c’è da nasconderselo, c’è da avere la giusta dose di prudenza. Bisogna cercare le proprie contromisure.

Ma io non sono sicuro che uno smartphone sia la miglior cosa per ridurre al minimo il rischio. Sì, certo, può essere utile in casi particolari ma non è la cosa più importante da portarsi dietro per cercare di non correre pericoli.

Quello che dobbiamo avere sempre con noi quando andiamo in montagna o comunque in natura è la preparazione. Dobbiamo prepararci bene alle condizioni in cui ci troveremo, dobbiamo avere l’attrezzatura giusta (senza nemmeno esagerare), dobbiamo conoscere quello che andiamo a fare e in fin dei conti avere un po’ di ottimismo. La paura ti blocca, non aiuta per niente.

Secondo me avere con sé uno smartphone rischia di creare un meccanismo vizioso.
Mettiamo che vogliamo scegliere un’escursione, che ci informiamo un po’ e che decidiamo.
Se abbiamo intenzione di affidarci al cellulare per qualsiasi pericolo potremmo trovarci a scegliere un’escursione che è sopra le nostre possibilità, perché “tanto se ho il cellulare mi vengono a salvare!”. Oppure non documentarci abbastanza, non cercare di essere pronti ad ogni evenienza.

E non è un meccanismo così assurdo, credetemi, anche perché non è consapevole. Non bisogna arrivare per forza all’estremo delle persone che vanno sui monti con le ciabatte (sono sicuro, è capitato anche a voi di vederle), ma magari non ci si copre abbastanza, non ci si porta un pezzo di attrezzatura fondamentale che servirebbe proprio in un passaggio che non conosciamo a sufficienza.

 

Il popolo delle action cam e l’estremo opposto

Ultimamente poi mi è capitato di vedere una cosa strana: gente che va in montagna e si piazza in testa una videocamera per far vedere agli altri quello che sta facendo, come se si fosse lì.

Io capisco sicuramente l’esigenza di alcuni di vantarsi un po’, di far vedere quanto si è bravi e di quante cose difficili si fanno. Ma è davvero così importante?

Ma soprattutto: attenzione a pensare che guardando un semplice filmato in soggettiva si possa capire quello che ci troveremo davanti. Vedere un video non è come essere lì! Viviamo in un’epoca visuale, e siamo portati a pensare che vedere un’esperienza altrui sia come viverla. Ma secondo me non è così, e questa cosa è molto pericolosa.

Bisogna vivere le esperienze, provare e capire i propri limiti, non pensare che vedere una cosa sia come averla fatta o ci prepari a sufficienza.


 

E insomma: lasciamo a casa questi benedetti accessori tecnologici, almeno quando siamo in montagna. Non diventiamo schiavi di oggetti, o della ricerca di approvazione a tutti i costi. Non diventiamo schiavi della paura!

 

 

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