Tenete all’ambiente? Rassegnatevi a bagnarvi (forse)!

Sottotitolo: come i produttori di capi tecnici stanno reagendo alle preoccupazioni del pubblico sugli PFAS.
Sì, perchè nel corso degli anni per impermeabilizzare giacche, pantaloni e tutto il resto, si è arrivati a sviluppare tecnologie sempre più efficaci ma che, si è scoperto, hanno un effetto dannoso su tanti ambiti della vita sul pianeta (anche la nostra). E allora tra leggi e azioni volontarie, le aziende che hanno a catalogo indumenti impermeabili per vari usi stanno cercando delle alternative mentre mettono fuori catalogo alcuni cavalli di battaglia.

Un po’ di storia: PFAS e tutto il resto

L’uomo ha sempre avuto bisogno di rimanere asciutto, specie quando il camminare nelle foreste non era un hobby ma una necessità, e ha trovato il modo di farlo con sempre più efficienza.

All’inizio è stata una questione di imitazione della natura, usandone pezzi per coprirsi: pensate anche solo al feltro, che è fatto per l’appunto di una lana infeltrita simile a quella che si trovano addosso le pecore che non si pettinano. O alle superfici delle foglie tropicali, che lasciano scivolare l’acqua grazie al loro rivestimento ceroso. Usando materiali naturali, l’uomo è riuscito a proteggersi da un elemento tra i più fastidiosi.

Piccola curiosità: quella che vedete qua sopra (foto presa da Wikipedia) è una kamleika rituale, probabilmente appartenuta a una persona importante. Viene dalle isole Aleutine, dove per proteggersi dalla pioggia realizzavano queste specie di impermeabili usando l’intestino di mammiferi marini, tipo il leone di mare. Per fortuna questa pratica non si usa più, ma quello era un tessuto traspirante e allo stesso tempo impermeabile, utile per la stagione piovosa della zona.

Nel corso dei secoli le soluzioni sono rimaste più o meno primitive (ma a volte efficaci) e poi c’è stata la svolta: il metodo scientifico e i progressi nella chimica.

È cominciato tutto più o meno con un certo Charles Macintosh, di Manchester dove di pioggia se ne intendono, che ha pensato bene di prendere due strati di cotone e di incollarli assieme con della gomma. Bella idea, purtroppo però nel 1823 le conoscenze scientifiche non erano granché, e quindi quando c’era freddo il tessuto risultante diventava bello rigido, e col caldo diventava appiccicoso.
Poi però è arrivato il processo di vulcanizzazione, ovvero un sistema per legare la gomma allo zolfo e renderla così elastica e più resistente alle alte temperature.

Finita qui? No!
Si è poi passati a rispolverare tecniche antiche, come l’impregnazione con la cera (corretta con le conoscenze chimiche più moderne), con un metodo che alcuni usano ancora oggi per impermeabilizzare i tessuti naturali come il cotone: ad esempio se cercate un minimo, troverete prodotti come questo di Fjallraven che mi dicono funziona bene.
Nel frattempo si lavorava sulla tessitura dei fili, che diventavano più sottili e con una trama più fitta per arrivare a una buona impermeabilità accompagnata da capacità di far traspirare.

In seguito è iniziato il momento delle plastiche, con il poliuretano che fino agli anni ’60 si è affermato. Ma mancava ancora tanta strada da fare (e ne manca ancora): i tessuti in materiale plastico dovevano combattere tra peso, rigidità, capacità di resistere alla pioggia, ma anche di far passare l’umidità creata dal corpo umano. Non è una cosa banale e nel corso degli ultimi anni i tentativi fatti per risolvere questa moltitudine di problemi si sono susseguiti.

Oggi lo stato dell’arte è rappresentato da alcuni tessuti che vanno sotto il nome di Gore-Tex, con alcune alternative più o meno di successo. Come sono fatti? Non voglio addentrarmi in tutta la questione tecnica del filato, dei rivestimenti, degli accorgimenti, degli strati… Ci saranno forse altre occasioni per farlo, ma per oggi vi basti sapere che in tutta la questione sono coinvolti i famigerati PFAS.

La sensibilità in materia ambientale (accompagnata da alcuni studi preoccupanti) ha messo in evidenza i problemi causati da queste sostanze, non tanto nel loro utilizzo quotidiano, ma nella loro produzione.

Sono fresco fresco da un corso di ecotossicologia, cercherò di trattenermi ma voglio raccontarvi due o tre cose.
I PFAS fanno parte di una serie di composti chimici denominati POP (Persistant Organic Pollutants, ovvero composti organici persistenti) che hanno tra loro caratteristiche chimiche diverse ma sono accomunati da un aspetto che per la natura è molto problematico: ci mettono un sacco ad essere degradati, e spesso anche i loro metaboliti – cioè i primi composti derivanti dal loro processo di degradazione – sono dannosi.

Un altro paio di problemi che caratterizzano gli PFAS è che sono in parte idrofobici e in parte idrofili (e questo spiega perchè si degradano difficilmente) e in più si tratta di composti bioaccumulabili. Ciò vuol dire che quando entrano in un organismo, lì rimangono – in genere nei tessuti lipidici – e si accumulano nel corso del tempo. Man mano che si risalgono le reti alimentari, poi, gli organismi che stanno in alto subiscono gli effetti di questo accumulo, perchè essendo consumatori finali si beccano organismi più piccoli che hanno accumulato le sostanze dannose. Ovviamente l’uomo è un consumatore finale.

Per concludere, vi posso dire che gli PFAS sono degli interferenti endocrini (cioè scombussolano il modo in cui produciamo ormoni) e pure responsabili di tumori. Chiaramente bisogna essere esposti a elevate quantità di queste sostanze, ma la situazione è seria.

Se volete saperne di più e avete la curiosità di sapere com’è messa la vostra zona, per quel che riguarda la contaminazione da PFAS, c’è questo sito chiamato foreverpollutants.

Che fanno le aziende che usano PFAS?

Ci sono tante aziende che usano o usavano PFAS, e sotto pressione a causa di inchieste giornalistiche, della consapevolezza dell’opinione pubblica, o semplicemente perchè a breve queste sostanze potrebbero essere vietate, stanno cercando delle soluzioni.

Patagonia ha provato a usare dei composti sostitutivi della stessa famiglia, per poi decidere di eliminare del tutto entro il 2024 i composti che chiama PFC (che comprendono anche i PFAS, vedi le loro spiegazioni).
Anche Gore-Tex, che è un produttore di abbigliamento ma fornisce molti marchi di abbigliamento con i suoi tessuti in esclusiva, ha fatto dichiarazioni simili ed entro la fine di quest’anno dovrebbe essere senza PFC.


A proposito… Se vi serve una giacca da ciclismo veramente impermeabile prendete questa perchè sta finendo e non la faranno più. Ne sono contento, perchè è un segno che si fa qualcosa per la salute delle persone e dell’ambiente, ma è un peccato perchè è un grande prodotto. Peccato anche perchè non sappiamo fare le cose per bene, con la giusta attenzione all’ambiente che alla fine è l’unico posto che abbiamo per vivere.


Ora l’obiettivo è trovare dei sostituti, ma finora i sostituti non ci sono, e probabilmente per un po’ di tempo ci si dovrà rassegnare a usare delle giacche impermeabili un po’ meno efficaci. E magari anche rinunciare alle padelle con rivestimento in teflon (quello lo farei già da ora, sinceramente). Mah, vedremo!

2 commenti su “Tenete all’ambiente? Rassegnatevi a bagnarvi (forse)!”

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